lunedì 13 aprile 2015

La complessa psicologia del disoccupato

(L'urlo di un disoccupato)
La psicologia del disoccupato è complessa e difficile da capire. A meno che non si è stati disoccupati per un periodo in passato. Altrimenti nessuno può comprendere fino in fondo lo stato di disagio e di precarietà a cui è sottoposto un disoccupato. Precarietà, oltre che a livello lavorativo, soprattutto a livello mentale, che si va a ripercuotere su tutto, soprattutto sul rapporto con gli altri, sulle proprie convinzioni e sul proprio modo di comportarsi. Ovviamente il mio post non ha nulla di scientifico ma è il frutto dell'esperienza personale che sto vivendo al momento, quindi non è assolutamente il mio intento quello di generalizzare. Parlo di me. 
Si comincia nei primi mesi, in cui si passa ad uno strano stato mentale dovuto soprattutto alla perdita del posto di lavoro precedente oppure per alcuni alla fine del ciclo di studi universitari. Per me è quasi coinciso. Mi sono laureato ad ottobre del 2011, mentre a luglio del 2012 è terminato il mio lavoro con il quotidiano con il quale collaboravo. La fine degli studi è un pò la fine della "sofferenza" sui libri, il periodo universitario è molto bello, ma allo stesso tempo molto impegnativo. Moltissimi esami, libri da studiare, viaggi in treno per raggiungere l'università, giornate intere chiusi in casa a studiare sperando di terminare il prima possibile ed ottenere il tanto agognato "pezzo di carta". Se avessi saputo di dover andare incontro alla disoccupazione, sicuramente avrei rallentato gli studi per prendermela con più calma e tranquillità, di tempo in effetti ne avrei avuto in quantità. Alla fine mi sentivo davvero libero mentalmente, ampiamente appagato per l'obiettivo raggiunto. Primo laureato della famiglia, che orgoglio! Da primo laureato a primo disoccupato il passo purtroppo è stato breve. A gennaio dell'anno seguente, il 2012, iniziano le prime voci sul quasi fallimento del quotidiano, stipendi non pagati, sciopero, contributi mai versati, chiusura del quotidiano a luglio. Disoccupazione. 
All'inizio mi sono preso un periodo di pausa, essendo certo che trovare lavoro nuovamente non sarebbe stato così difficile, anzi, avevo certe ambizioni anche...L'ottimismo è il succo della vita diceva qualcuno...Dopo poco cominciai ad inviare curriculum a destra e a manca, on line, per posta, per e-mail, rispondendo ad annunci sul giornale, in qualsiasi forma insomma. Sicuro che la chiamata a breve sarebbe finalmente arrivata. Ma niente. Qualche colloquio andato male, molte non risposte. Dopo poco la depressione. Avevo finalmente capito che niente sarebbe stato facile, anzi, l'impresa era davvero durissima. Quindi un periodo molto difficile psicologicamente. Rimorsi sul passato, sull'università, sulla scelta degli studi, su tutto. Rinnegavo il mio passato, tutto un errore, tutto sbagliato. Il senso di colpevolezza. Se sono in questa situazione é colpa mia, mi dicevo (e pensavano gli altri, e forse pensano ancora). Dopo con l'aiuto delle persone importanti della mia vita l'uscita dal tunnel dell'umore nero e si ricomincia daccapo, conscio che tutto sarebbe stato difficile, ma che nel frattempo bisognava vivere anche questo momento, con la massima serenità possibile, la vita è una e chi me la ridà una seconda possibilità? D'altronde non sono poi così sfortunato come credevo. Felicità a momenti (come diceva Tonino Carotone, ma dove le trovate queste citazioni? solo qui. Pubblicità). A momenti perché il disoccupato difficilmente è sereno, un momento sì e un altro pure, ha sempre quel pensiero fisso in testa, e tutto sembra ricordarglielo, da quello che ascolta alla radio, a quello che vede in tv, a quello che ascolta dalla gente. Ovviamente più si ha questo problema e più la gente ne parla in tua presenza, anche inopportunamente nella maggior parte dei casi, con assoluta mancanza di tatto, se così si può dire. Ognuno che chiede "Ma il lavoro? trovato qualcosa?" per il disoccupato è quasi una pugnalata, con il successivo desiderio di non parlare mai più con quella persona...Ci si chiude in se stessi, poca voglia di stare con gli altri. Poi ci sono gli ossessivi che lo chiedono sempre "Ma allora, trovato qualcosa?", i petulanti fastidiosi "Come possiamo fare?" e i "so tutto io", quelli che lavorano e che ti danno la soluzione "Ma io andrei all'estero, lì si che si trova lavoro" o altre scontatissime e banalissime soluzioni. Quando non si è in questa situazione è impossibile dare consigli agli altri, si banalizza tutto solitamente, bisogna viverla la disoccupazione, dall'alto della tranquillità lavorativa è facile dare consigli agli altri. Come se poi andare a lavorare all'estero non costi nulla, o spostarsi di casa non costi nulla. O che trovare lavoro lontano da casa sia più facile.  
Insomma dà tutto un pò fastidio quando si parla di questo argomento. Soprattutto perché nessuno ne parla con delicatezza e sa mettersi nei miei panni. La cosiddetta empatia ce l'hanno solo in pochi purtroppo.  Per questo ed altri motivi, nella testa del disoccupato c'è un'alternanza di rabbia verso tutti, voglia di vendetta (non si parla proprio di violenza, sia chiaro, é un pensiero tipo "Non diventerò nessuno, ma se diventerò qualcuno e potrò aiutare qualcun altro ci penserò bene...", ci si incattivisce, si è spesso nervosi, suscettibili. Un vero caos mentale. Rabbia verso chiunque non ti  aiuta e lo potrebbe fare, verso chi ti ha ferito, verso chi adesso ti tratta in un certo modo. Difficilmente si è sereni, oppure lo si è ma solo per brevi momenti, perché il "Problema" non lo si dimentica praticamente mai. Il segreto è quello di dedicarsi a moltissime attività, anche futili, per impiegare il tempo e pensare meno. Proprio mentre ti sentirai meglio e il mondo sembrerà per un attimo migliore arriverà qualcuno che ti dirà "Ma il lavoro? Trovato qualcosa?". E si ricomincia...   

Nessun commento:

Posta un commento